La Chiesa

           Di San Franco 

 a Francavilla  

 

      

 

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Francavilla - La chiesa di San Franco


 

 

    1)  Io davanti alla cattedrale

 

 

 

 

 

 

 

       

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2) Scultura all'interno

           della chiesa

   

 

 

 

 

 

3) Particolare esterno sulla chiesa

 

 

 

 

 

 

 

 

        4) La torre campanaria con

           l'orologio

 

 

 

 

 

   5) Donatella all'interno

      della chiesa

 

 

@nonnoenio

L'edificio progettato da Ludovico Quaroni negli anni immediatamente precedenti il Concilio resta come testimone del fermento di quell'epoca, protesa verso nuove sperimentazioni ma ancora saldamente radicata nella tradizione. Un progetto esemplare per contestualizzazione e per armonizzazione tra architettura e interventi artistici. Il concorso fu bandito dall’Unione Cattolica Artisti Italiani (UCAI) nel 1948, per realizzare la chiesa parrocchiale di S. Maria Maggiore a Francavilla a Mare provincia di Chieti. Vincitore risultò il progetto dell’architetto Ludovico Quaroni. Il periodo era molto particolare: precedeva la riforma del Concilio Vaticano II e come tale risentiva di quei fermenti innovativi dell'epoca. Come molte chiese progettate in quel periodo di transizione, la sua grandezza consiste nel rappresentare e mediare le due tradizioni, quella preconciliare e quella postconciliare. La chiesa fu eretta nello stesso luogo dove sorgeva l’antico edificio del '300, bombardato e distrutto durante la seconda guerra mondiale. Il processo costruttivo durò 11 anni a far data dall’anno del concorso. Lo spazio disponibile era su una sommità, in posizione dominante urbanisticamente e paesaggisticamente; “piccolo”, con le caratteristiche di un’area quasi di risulta, ma nodale poiché posto in un crocevia di percorrenze che segna l’entrata al centro e l’uscita al mare, il che ha consentito all’edificio-chiesa di costituire un “continuum” con la strada

 

La chiesa di San Franco

 

Quaroni pensò l’edificio nel contesto e con felice intuizione, dovendo fare spazio alle percorrenze pedonali, a quelle stradali e al sagrato, strinse la progettazione tutta intorno a se stessa organizzando uno schema di pianta centrale a forma irregolarmente ottagonale sul cui perimetro aprì 4 cappelle, di cui un'abside alle spalle dell’altare, creò un collegamento che porta anche ai servizi, e prolungando altri due lati, sviluppò longitudinalmente la navata, facendola “ aula” dove l’assemblea si raccoglie. Mancando lo spazio planimetrico e dovendo segnare nel paesaggio la presenza della chiesa dominante dall’alto il territorio, Quaroni lanciò un segno espressionistico nella verticalità monumentalizzante dell’edificio, avvicinandolo al cielo e riproponendo il legame “verticalità-processionalità”. All’interno creò una suggestiva volta di copertura a padiglione illuminata da 4 finestroni, posti simbolicamente in alto, secondo la tradizione dal paleocristiano in poi, all’attacco tra le pareti verticali della navata e il soffitto, evocando, nella posizione e nei giochi di luce che ne conseguono, un immaginario disegno di croce che realizza uno splendido connubio lucearchitettura. La chiesa si riconosce nella skyline del paesaggio e si contestualizza attraverso la forma, i colori e i materiali: pietra e laterizio per le mura, cemento armato per la struttura. La preoccupazione della visibilità dell’edificio-chiesa ha fatto sì che essa non avesse una connotazione 

 

Il campanile esterno alla chiesa

 

Infatti l’edificio, forse perché pensato per essere prevalentemente visto da lontano, sembra rialzarsi su un basamento in pietra che in realtà è una specie di deambulatorio che corre lungo tutto il perimetro interno della chiesa attraverso un percorso continuo, senza interruzione, tra le cappelle-altari, per poi ristringersi ed elevarsi. Solo da vicino ci si rende conto che il tema della facciata è stato risolto creando un falso “pronao” esterno in cui è stato ricavato l’ingresso. Il campanile ben si integra figurativamente con il complesso, rappresentandone, magnificamente, quella simbolica connessione con il trascendente. L’impresa creativa non è stata un’avventura individuale, all’apparato decorativo hanno collaborato: per le maioliche e il ferro battuto sui prospetti Giorgio Quaroni, pittore, fratello dell'architetto; per l’altare, il cero pasquale, il tabernacolo, la statua di S. Franco, il pulpito, il coro, i seggi presbiteriali e, all’esterno, la fontana e la decorazione della facciata (tutti in pietra) lo scultore Pietro Cascella; questo stesso, insieme al fratello Andrea, ha realizzato il fregio in terracotta e le decorazioni delle finestre. Le stazioni in pietra della Via Crucis di Andrea Cascella sono state spostate ed esposte in una sala attigua alla chiesa. Al loro posto l’itinerario staurologico è stato rappresentato dall’artista Raimondo Volpe che ha raccontato “il cammino” modellando le 14 stazioni della Via Crucis in formelle di terracotta policroma in basso ed alto rilievo. La chiesa, inoltre, custodisce il pregevole ostensorio di Nicola da Guardiagrele, opera di orificeria medio-adriatica del '400. La chiesa, pervasa da un forte senso di sacralità, è essenziale, “ umile”: il progettista non ha avuto pretese di sperimentazione stilistiche, ed evitando suggestioni mistiche, ha dato risposta ad esigenze spirituali, traducendole in pure forme architettoniche. Non è un progetto a tema dominante o di dettagli;è un progetto di sintesi dell’organizzazione, configurazione e strutturazione dello spazio che riassume il complesso problema dell’edificare.

 

 

Particolare della cattedrale

 

 

Il restauro di San Franco si distingue dagli altri casi di revival stilistici in regione per il dichiarato intento di non mimetizzarsi con la preesistenza e di mostrare anzi, in ogni dettaglio, la sua natura progettuale e innovativa. Grazie anche all'estraneità del progettista alla cultura locale, che lo portò ad avere un approccio obiettivo al tema e a ricorrere in pieno al suo bagaglio formativo, il rifacimento in stile non fu vissuto come il mezzo per restituire all'edificio il suo aspetto originario, ma piuttosto come un linguaggio personale finalizzato ad esaltare quella monumentalità che l'arte e il tempo avevano donato a San Franco in oltre mille anni. 

 

 

 

 

 

 

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