Viaggio attraverso l'Umbria ferita Quaranta chilometri con le pelli
ai piedi, tra muri di neve, macerie, tracce di lupi e orsi, paesaggi incantati e
terra ferita. Quaranta chilometri tra montagne e pendii, in luoghi diventati
tristemente famosi in un attimo e altrettanto velocemente dimenticati, come
Castelluccio di Norcia e Arquata del Tronto. Quaranta chilometri da documentare
con fotografie tanto spettacolari quanto angoscianti, e da raccontare con lunghi
silenzi e profondi sospiri. Due settimane fa, in Umbria, in tre hanno messo gli
zaini in spalla e gli sci d’alpinismo ai piedi e caricato la testa di domande e
curiosità, per andare a vedere la terra spaccata, circa 180 giorni dopo il
terremoto del 24 agosto e 120 dopo quello del 27 ottobre. Per raccontare, per
fortuna, ci sono le fotografie, che a volte sono più efficaci di mille parole.
Foto che hanno tutte una caratteristica: il contrasto. Contrasto tra la bellezza
della natura e la distruzione dei luoghi. Contrasto tra i colori
dell’abbigliamento da sci e quelli della neve e dei mattoni. Contrasto tra ciò
che era e ciò che è diventato adesso, dopo venti secondi di scossa. Alesi,
Modica e Leischner da Arquata del Tronto si va poi verso Forca di Presta. Poi
Piedilama e Pretare. Camminando in silenzio, guardando attorno e rimanendo
stupiti a ogni passo. La nebbia, il freddo, la neve, rendono tutto ancora più
impattante. Il primo giorno visita al Monte Vettore e i Sibillini, paesaggi
stupendi. Poi via a Forca Canapine, la stazione sciistica, seguendo le tracce
dei lupi, chiarissime sulla neve. Al campo scuola di Nordica c’è un silenzio
irreale, proprio dove solitamente c’erano bambini e maestri di sci, famiglie e
ragazzi. Il rifugio distrutto, la stazione e lo ski-lift anche. Sciatori, ovvero
turisti, ovvero l’economia che gira, soldi che permettevano a quei paesi di
vivere, i giornalieri venduti, i passaggi sulle piste, le presenze alberghiere,
con tanto di percentuali e statistiche, e i confronti con la stagione
precedente, in Umbria, i dati sono già tristemente certi: zero. Zero in ogni
casella. Nessuno ha trascorso l’inverno lì, a sciare e divertirsi. Danneggiati e
abbandonati: lassù, ormai, non vive più nessuno. Quella terra ferita se la
stanno riprendendo gli animali selvatici e le tracce di lupo e orso sono
dappertutto. Solo qualche militare e, in alcune località, qualcuno che non vuole
mollare. Entrando in un bar del luogo, dentro non si sarebbe potuto entrare per
pericolo di crolli, ma il gestore era riuscito a costruire una sorta di veranda
con dei teli di nylon. Si era rimboccato le maniche per provare a ripartire,
nonostante tutto. Li si può chiedere dei panini e constatare che sono i più
buoni che uno abbia mai mangiato. |