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Oratorio di San Pellegrino – Caporciano (AQ)

 

 

L'oratorio di S. Pellegrino a Bominaco, edificato nel 1263 per volontà dell' abate Teodino, a breve distanza dalla chiesa di S. Maria Assunta, sorse sul sito di una più antica costruzione voluta da "Re Carlo" (Carlo Magno o Carlo il Calvo), secondo quanto riportato nell'iscrizione sulla parete di fondo dell' edificio: A.M. BIS SEXDECIES TERNIS HEC A REGE CAROLO FUDATA AB ABBATE TEODINO. L' oratorio, dedicato a un "Santo Pellegrino", che da tempo immemorabile era molto venerato nella zona, è un piccolo ambiente ad aula unica (m. 18 x 5.80) con volta a botte ogivale, le cui pareti sono interamente coperte da dipinti murali, ritenuti coevi alla sua edificazione. Il ciclo è unanimemente considerato, insieme ai dipinti della vicina S. Maria ad Cryptas a Fossa, la testimonianza più importante e cospicua della pittura medioevale abruzzese. Gli episodi sono disposti su tre registri al di sopra di un basamento dipinto a cortina e occupano lo spazio della piccola aula fino e oltre la curvatura della volta, lasciando al centro di essa una fascia decorativa dipinta a motivi ornamentali geometrici e stilizzati, che si ripetono anche sui sottarchi e sui capitelli dell'oratorio. L'insieme degli affreschi è composto da più cicli intrecciati tra loro in modo complesso e a tratti "disordinato"; scene appartenenti ad uno stesso gruppo tematico infatti si interrompono talvolta su una parete per continuare su quella opposta. In questa affascinante densità di immagini si riconoscono: un ciclo dell' Infanzia del Redentore, un ciclo della Passione, scene del Giudizio Finale, storie di S. Pellegrino e di altri Santi ed infine la famosa serie dei mesi del Calendario. Gli affreschi rivelano naturalmente, come sempre avviene per i cicli complessi, l'intervento di più esecutori, la cui matrice culturale non è sempre facile da individuare. Le sei storie dedicate a S. Pellegrino (Matthiae, 1969, p. 33, fa notare che probabilmente le storie non riguardano S. Pellegrino ma un santo martire siriaco), sono segnate, ad esempio, da una mancanza di caratterizzazione nelle soluzioni, da un linguaggio essenziale, dall'uso di modelli di "repertorio" convenzionali, ma non sostenuti da una precisa tradizione iconografica di riferimento. Il ciclo dell'Infanzia di Cristo, che comprende gli episodi dell' Annunciazione, della Visitazione, della Natività, della Strage degli innocenti, sembra risentire di varie influenze culturali: la tradizione iconografica bizantina delle scene, desunta soprattutto dai modelli offerti dalla miniatura orientale, sembra rappresentare infatti un

 

riferimento importante sul quale però non mancano di innestarsi elementi tipici della cultura occidentale, anzi, sarebbe meglio dire, locale. Può essere indicativa, come spia di tale commistione, l'osservazione dell' abito indossato da Maria nella scena della Visitazione, composto da un "maphorion" (il manto caratteristico delle icone bizantine) sotto il quale si vede spuntare una veste a rombi, desunta dal vestiario locale (Matthiae 1969, p.34). In molte scene si nota, inoltre, un superamento dell'immobilismo e della fissità ieratica orientale in favore di un nuovo dinamismo, reso a volte tramite insolite angolature. In alcuni brani fanno inoltre capolino elementi iconografici di probabile matrice francese, sottolineati soprattutto in relazione alla scena dell'Adorazione dei Magi, forse ispirata al dramma liturgico francese dell'Epifania (ivi 1969, p.35). Una maggiore distanza dai modelli bizantini, che diventa a tratti molto sensibile sembra caratterizzare il pittore del ciclo della Passione e i relativi episodi: l'Entrata a Gerusalemme, la Lavanda dei piedi, l'Ultima Cena, il Tradimento di Giuda, l'Arresto, il Processo, la Deposizione dalla Croce, il Seppellimento, l'Apparizione ad Emmaus. L'intera serie delle scene sembra prendere le distanze da un'interpretazione aulica e retorica degli eventi ed essere orientata piuttosto verso la ricerca di effetti narrativi, espressi tramite una ricerca di particolari direttamente desunti dalla vita quotidiana, nonché gesti e posture fortemente espressivi e caratterizzanti (si veda Giuda nell'Ultima cena, isolato, cupo e con il volto colpevole). Impossibile non notare l'assenza della scena della Crocifissione, in qualche modo "sostituita" dalla Deposizione, cui fa seguito il Seppellimento, episodio non troppo frequente nella tradizione occidentale e sostanzialmente sconosciuto alla consuetudine iconografica bizantina. Le scelte e le soluzioni adottate da questo pittore, cui solitamente vengono attribuiti anche gli episodi della vita di S. Pellegrino, non fanno che sottolineare la sua indipendenza da schemi eccessivamente rigidi, sostituiti da un particolare gusto per l'osservazione della realtà. Brani come la figura del pellegrino sulla strada di Emmaus, con la corta veste e il bastone cui è legato un fagotto, rappresentano probabilmente i momenti più spontanei e autentici degli affreschi di Bominaco, quelli che gli conferiscono quel fascino così speciale. Non solo, l' uso disinvolto e libero del

colore e il disinteresse per gli effetti plastici e spaziali portano questo maestro verso la ricerca di una resa popolaresca e bidimensionale della realtà, non priva però di originalità e vivacità. Altro segno della singolarità delle pitture di S. Pellegrino è rappresentato dal particolare modo in cui è trattato il Giudizio Universale che, anziché essere dipinto, come di consueto, in controfacciata, è diviso in singole scene (la Pesa delle anime, Pietro che apre le porte del Paradiso, i patriarchi con le anime dei beati in grembo, i dannati torturati dai demoni) disposte su due pareti. Tra le raffigurazioni iconiche dei santi (S. Cristoforo, S. Onofrio, S. Francesco) che completano la decorazione pittorica, solo S. Martino, un santo francese, è rappresentato nell'atto di tagliare il mantello per donarlo al povero, dunque colto in un'azione, che cita precisi modelli, ancora una volta , diffusi in Francia. Tra le pitture di Bominaco non può certo essere trascurato lo straordinario Calendario, del quale restano ben leggibili purtroppo solo i primi sei mesi (gli altri sono seriamente danneggiati) raffigurati simbolicamente tramite i segni zodiacali, le attività dell'uomo e le festività della diocesi valvense, cui l'oratorio apparteneva. Gennaio è illustrato con un uomo che beve da un fiasco, Febbraio da un uomo che taglia i rami di un albero, Marzo da un uomo seduto che dorme, Aprile da un uomo che tiene in mano due fiori, Maggio da un uomo a cavallo che tiene in mano un fiore e Giugno da un uomo che coglie frutta da un albero. Queste scene, attribuite ad un terzo maestro, ben diverso da quello delle storie della Passione , così come da quello delle storie dell'Infanzia, hanno rivelato analogie significative con cicli monumentali dei mesi diffusi sia in Italia settentrionale (come nel portale della Pescheria del Duomo di Modena) che in Francia, come a Notre Dame di Parigi, nella Cattedrale di Amiens o a Rampillon (ivi, p. 39). Ma il particolare modo

 

 

in cui i mesi sono impaginati e presentati a Bominaco, inseriti in arcate trilobate e vivacizzati da figurine mosse e briose, suggerisce una derivazione più probabile da esemplari miniati, sempre francesi, di gusto marcatamente gotico. Nel complesso l'intero ciclo di affreschi di Bominaco , al di là delle naturali differenze che caratterizzano ogni maestro, resta un prodotto uniforme, realizzato da personalità diverse ma che in fondo parlano un linguaggio molto simile. Questo linguaggio, improntato al naturalismo gotico, sul quale si inseriscono a tratti richiami benedettini e bizantini, reinterpretati però con insolita freschezza, resta una testimonianza ricchissima e sorprendente della stagione artistica duecentesca, prima che la rivoluzione giottesca con "l'invenzione" dello spazio tridimensionale cambi per sempre l'arte italiana ed europea.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

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