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Chiesa di San Giustino


Assorbita ormai nel caotico tessuto cittadino, assediata dal traffico, spettatrice silenziosa di un megaparcheggio che fu un tempo piazza, la Cattedrale di San Giustino è un elemento acquisito nel visuale quotidiano di chi vive Chieti, sia pure per un caffè. Vista dalla vetrata del bar, in un istante di distrazione dalle faccende quotidiane, è per tutti una grande chiesa medievale. E appare infatti medievale. Ma non lo è. Di origini altomedievali, la cattedrale di San Giustino venne ricostruita nell' XI secolo, danneggiata da vari terremoti nel corso dei secoli e più volte restaurata. Fu completata, infine, nell'attuale aspetto solo nel XIX secolo. Fulcro visuale e urbanistico della città fin dal medioevo, San Giustino offre il suo fianco più visibile alla piazza Vittorio Emanuele II, dalla quale quotidianamente, da oltre mezzo secolo, l'osservatore immagina di ammirare un edificio nato e concluso nel XIV secolo. Ancora in pieno Novecento, il proposito di restituire un'immagine unitaria all'edificio si legava all'aspirazione della cultura locale di conferire un'identità forte ai propri luoghi d'origine, esibendone, in un atteggiamento tipicamente romantico, i segni più illustri in una veste il più possibile integra. Nel caso di San Giustino - ma anche in quello coevo della cattedrale di Teramo - l'isolamento e 

 

il ripristino dell'edificio furono percepiti come pienamente legittimi e accolti dal plauso unanime della cittadinanza: alla fine degli anni Trenta la riapertura al culto della cattedrale avvenne fra solenni celebrazioni e con la partecipazione delle massime autorità religiose, a conferma della coralità di intenti nel perseguire il completamento in stile del monumento. Dopo una prima serie di operazioni volte ad isolare la torre campanaria dalle varie costruzioni addossate, intervenne, nel 1910, il progettista che per oltre venti anni condusse il restauro del duomo: l'architetto Guido Cirilli, noto all'epoca, nel campo della conservazione, soprattutto per aver eseguito il ripristino della Basilica di Loreto. L'indirizzo metodologico perseguito unì, ad un generico principio di analogia (il riferimento cioè ad edifici medievali coevi e dello stesso ambito geografico) una spiccata componente progettuale: infatti, oltre ad un generale consolidamento strutturale e alla conservazione di alcune parti originarie, il restauratore progettò ex-novo intere parti della chiesa, dalle coperture ai fronti, dai particolari decorativi ai rivestimenti. Vennero così portati a compimento, in sequenza, il rinforzo e il completo isolamento del campanile, la sistemazione del fianco prospiciente la piazza la progettazione dell'ingresso e di numerose decorazioni interne. Lo spirito creativo di Cirilli emerse nella soluzione offerta per l'ingresso alla chiesa: una monumentale scalinata conclusa in un ampio portale di stile neogotico (nella foto a destra), che risolse da un lato il problema dell'unione fra i volumi del campanile e della chiesa, dall'altro quello della differenza di quota fra il livello della piazza e il piano di calpestio interno dell'edificio. Il riferimento al principio di analogia appare più marcato nel completamento del campanile, dove la copertura a cuspide fu realizzata sul modello delle torri delle 

 

 

cattedrali di Teramo, Atri e Campli. Sul lato del campanile rivolto verso il Palazzo di Giustizia, anch'esso liberato dalle aggiunte, venne replicata la bifora del secondo livello che prospetta sulla piazza. L'intervento più sostanziale fu quello relativo al fianco destro della chiesa, messo a nudo dopo l'isolamento dalle strutture sette e ottocentesche. Scegliendo di non rimarcare le tre campate interne della chiesa attraverso la tripartizione del fronte, l'architetto optò per un alto rivestimento in pietra che sottolineava la quota del pavimento interno, al quale fece seguire una parete liscia segnata da tre sole monofore. A coronamento del fronte, una doppia teoria di colonnine assolse alla funzione di alleggerire la massa muraria della facciata e di nascondere le testate dei contrafforti che contrastavano le spinte della navata centrale. Il ripristino di questa parte della chiesa si concluse con la nuova facciata del transetto, in cui il coronamento a due spioventi sostituì il precedente, curvilineo e sormontato da tre piccole torri campanarie. Il restauro di San Giustino si distingue dagli altri casi di revival stilistici in regione per il dichiarato intento di non mimetizzarsi con la preesistenza e di mostrare anzi, in ogni dettaglio, la sua natura progettuale e innovativa. Grazie anche all'estraneità del progettista alla cultura locale, che lo portò ad avere un approccio obiettivo al tema e a ricorrere in pieno al suo bagaglio formativo, il rifacimento in stile non fu vissuto come il mezzo per restituire all'edificio il suo aspetto originario, ma piuttosto come un linguaggio personale finalizzato ad esaltare quella monumentalità che l'arte e il tempo avevano donato a San Giustino in oltre mille anni. 

 

 

Cripta - Questa costruzione presenta caratteri di grande originalità e non trova riscontri in nessun altro monumento abruzzese per quanto concerne le dimensioni. Eretta da maestranze vicine alla scuola di San Liberatore, occupa tutto il transetto con abside e con trabside. La pianta, alquanto irregolare, si articola in piccole navate di una campata ciascuna. Interamente costruita in laterizio, riserva la pietra esclusivamente ai capitelli e ai pilieri a fascio. La sistemazione attuale risale al secolo XIV, al tempo cioè della costruzione della torre campanaria, come è provato dagli affreschi riemersi nel corso degli ultimi lavori di restauro. Come nella chiesa superiore, anche in questa parte della cattedrale non mancano opere d’arte di grande rilievo. Prima fra tutte va ricordata l’arca marmorea che il vescovo Marino di Tocco fece scolpire nel 1432 per riporvi le reliquie di San Giustino, primo vescovo teatino e patrono della città. Quindi il Crocifisso di Niccolò Teutonico del 1485 e gli affreschi raffiguranti una Deposizione e un drammatico Crocifisso, un tempo sulle pareti di questa cripta e poi strappati nell’ottocento nel corso dell’ammodernamento voluto da mons. Ruffo Scilla. Adiacente alla cripta, infine, si apre la cappella del Sacro Monte dei Morti, decorata con rutilanti stucchi dorati applicati nel 1711 da G. B. Gianni, architetto lombardo attivo in Chieti nel secolo XVIII.

 

 

Torre campanaria - Opera di Bartolomeo di Giacomo, come si legge in una targa marmorea apposta all’interno del primo piano della costruzione, fu innalzata nel 1335, quasi contemporaneamente al rifacimento generale della chiesa, a quanto si deduce dalle affinità stilistiche che si riscontrano tra questo manufatto e quanto resta delle più antiche absidiole. Essa è a base quadrata e divisa orizzontalmente in quattro parti. La parte superiore, la cella campanaria con il tempietto ottagonale, è opera di Antonio da Lodi che la innalzò nel 1498 a simiglianza dei coronamenti realizzati in molti campanili abruzzesi. La fine decorazione ad archetti e ovoli in laterizio, con scodelle maiolicate, richiama la coeva torre arcivescovile (eretta nel 1470) e l’elegante chiesa a pianta ottagonale del Tricalle. Il campanile è esattamente orientato e misura 9 metri per lato, mentre dalla base al coronamento è di metri 46, più metri 9 della cuspide piramidale ricostruita negli anni trenta da Guido Cirilli in sostituzione di quella crollata nel terremoto del 1703. Il dado basamentale è rivestito con conci di pietra calcarea, grezza per metà e squadrata nella parte superiore. Il primo ordine nel quale

 

 

si apre una profonda monofora verso la piazza è rivestita di pietra pulita. Nel secondo ordine, a mattoncini rifiniti come tutti i restanti, si aprono due bifore, rispettivamente rivolte a sud e a nord, e inserite in un arco ogivale con una coppia di colonnine disposte sul piano mediano. Il terzo ordine, diviso dal precedente da una cornice marcapiano con raffinati archetti trilobati che ritroviamo nelle antiche absidi, è aperta su tutti e quattro i lati per mezzo di bifore simili alle precedenti, ma più alte e con colonnine binate disposte sui piani perimetrali. La finestra che si apre a levante è ornata da un archivolto a punta di diamante di ricercata eleganza, elemento che si ritrova su una finestra del vico Semprevivo e su una apertura ellittica della torre dei Toppi. La cella campanaria, stretta tra lisce paraste, è di stile sobrio e armonioso con quattro alte monofore e termina con un prisma ottagonale segnato da profondi nicchioni, coronato da un motivo ornamentale ad archetti ciechi. Agli angoli, solidi pinnacoli poggiano su un cornicione classico che si sviluppa attraverso un minuto dentello, grandi ovoli e gola dritta, identico al cornicione del Tricalle. L’orologio, un tempo sul fianco della chiesa, sopra un portico crollato nel secolo XVIII, fu collocato sulla torre nel 1752, per volontà del Camerlengo Paini.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

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