a Abruzzo
La vedetta del Gran
Sasso
Al Rifugio
Garibaldi a quota 2.230 m si può arrivare per due vie: la
prima via ha come tempo di percorrenza 1,45 minuti .
Dall'albergo della costa N.O. del M. Portella si giunge al
rifugio Duca degli Abruzzi e si percorre poi la Cresta di
Portella verso N fino alla sua massima depressione, quindi
si volge a O scendendo per pendii erbosi a Campo Pericoli (località
Conca dell'Oro). Magnifica conca circondata dalla Vetta
Occidentale del Corno Grande, dal Pizzo d'Intermesoli, dal
Pizzo Cefalone e dal Monte Portella, e dove sbocca da N la
Valle Maone. Ivi, alla base di una collina rocciosa, si
trova il rifugio Giuseppe Garibaldi a quota m 2230. Per il
passo della Portella il tempo di percorrenza è di circa 2,30
minuti (via più agevole). Dall'albergo si sale verso il
rifugio Duca degli Abruzzi fino a incontrare alla |
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propria sinistra il
sentiero che costeggia verso O il Monte Portella e raggiunge la
mulattiera che sale dalla V. Portella. Da qui, con lunga diagonale,
si raggiunge il Passo della Portella a m 2266. Da qui in circa 1 ora
di percorrenza si perviene al rifugio Garibaldi: costruito nel 1886
(tra i suoi realizzatori vi fu anche un partecipante alla spedizione
dei Mille). Al suo interno è possibile trovare 12 posti letto ed un
altra piccola stanza di 8 posti letto. Costruito dalla sezione di
Roma, il Rifugio Garibaldi fu inaugurato il 16 settembre 1886. Prima
costruzione del genere sugli Appennini, ad essa si lega il ricordo
del periodo eroico della conquista alpinistica, condotta
sistematicamente dalla Sezione Romana, del massiccio del Gran Sasso.
La sua fortuna incominciò a declinare con la costruzione nel 1908
del Rifugio Duca degli Abruzzi. Ma quando ormai stava per rendersi
inabitabile, la Sezione Aquilana lo prese in gestione. Siamo nel
1924. E’ il periodo d’oro degli Aquilani. La Sezione è fiorentissima,
altissimo il numero degli iscritti. Notevoli le imprese alpinistiche.
Eseguiti consistenti lavori di restauro,
il Rifugio fu
affidato a Pilato di Assergi che lo gestì per un decennio
circa. La famiglia di Pilato assicurava una vita da “cristiani”,
come si diceva da parte dei portatori di Assergi, quasi
inconsapevolmente a sottolineare, in forma polemica, la
necessità per gli uomini, per i “cristiani”, di avere pietà
verso se stessi, pietà che, viceversa, crudelmente si perde,
agli occhi di chi di montagna dolorosamente vive,
nell’avventurarsi senza sufficienti motivazioni nelle balze,
negli strapiombi, negli abissi gelidi di morte e neve. Poi
la costruzione dell’Albergo di Campo Imperatore e della
Funivia di Fonte Cerreto nel 1933 segnerà un secondo declino
del Rifugio. Questa volta si giungerà ad un vero e proprio
diroccamento. Perché dunque questa ricostruzione, quale ne è
il significato? Forse il Rifugio Garibaldi ha veramente
esaurita la sua funzione. Strade che sempre più si spingono
in alto, funivie, impianti scioviari aggrediscono il mistero
ed i silenzi della montagna che si riduce a dimensioni
sempre più piccole. In questo restringersi degli spazi ha
più senso un Rifugio ad appena un’ora di cammino dal punto
terminale della carrozzabile? Sembrerebbe di no. Se
guardiamo tuttavia per un
attimo il Garibaldi restaurato, e lavoriamo con un minimo di
fantasia, riusciamo a ricreare gli spazi infiniti cui un tempo il
Rifugio permetteva di accedere. E’ il culto di questa memoria che ci
ha spinto all’opera di ricostruzione. Ma anche una fiducia, la
fiducia di riuscire a testimoniare definiti umori, e, se si vuole,
una definita cultura per quelli che verranno dopo di noi, altrimenti
ignari degli entusiasmi e delle speranze di altri tempi, entusiasmi
e speranze sui quali pensiamo non debba esser lecito, sia pur
teneramente e con benevolenza, sorridere, come si sarebbe tentati di
fare, per il rispetto che meritano, densi come ancor sembrano di
intuizioni non del tutto realizzate, di indicazioni non ancora
raccolte, densi in una parola, di ammaestramenti da riconsiderare,
da seguire, onde salvare quanto ancora resta del senso più profondo
della montagna.
@nonnenio
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