Gabriele d'Annunzio, IL VATE      D'ANNUNZIO  FOTO Continua Indice Riferimento

CORE', la regina nera dell’Imaginifico

 


Si chiamava Luisa Amman Casati Stampa, ma per d'Annunzio fu da subito Corè, come la mitologica regina degli Inferi. E lugubre e tenebrosa la Marchesa lo era davvero, creatura notturna degna di un incubo di Edgar Allan Poe: il viso reso cadaverico da ciprie e biacca, i celebri, immensi occhi verdi (al cui splendore contribuiva l'assunzione quotidiana, a mo' di collirio, della venefica belladonna) bistrati con inchiostro di china o, più spesso, con sottili strisce di velluto nero.

 

E così l'Imaginifico, di cui fu amante, l'adombrerà nella Isabella Inghirami del ”Forse che sì forse che no”. E per accentuare il suo aspetto di tenebrosa femme fatale , vestiva rigorosamente di nero o di tinte lunari, con abiti capolavoro creati per lei dal divino Poiret. «Il primo dovere nella vita è assumere una posa», ammoniva Oscar Wilde e lei fu la più eccentrica, sconcertante, sfolgorante poseuse della Belle Epoque. Eccola incedere per le strade del bel mondo con un ghepardo al guinzaglio ed un boa constrictor attorno al collo; un gigantesco schiavo nubiano seminudo, verniciato d'oro, la seguiva con due levrieri cosparsi di cipria color malva. Amava gli animali, Corè, e tutte le sue dimore ne pullularono: a Venezia pavoni bianchi, merli albini e leopardi, a Parigi levrieri bianchi o neri, serpenti e persino una pantera imbalsamata, che ispirerà a Cartier il suo celebre gioiello. Le feste da lei organizzate sbalordirono la Belle Epoque, pure abituata al lusso ed agli eccessi: in una di queste fece liberare due milioni di farfalle! A Parigi, per épater les bourgeois , faceva shopping con delle scimmiette appollaiate sulle spalle e con un coccodrillino al guinzaglio; accanto a lei, splendido cavalier servente, Robert de Montesquiou (il più colto, fascinoso e "dannunziano" omosessuale dell'epoca).

 

Dotata di sensualità ferina e inappagabile, inebriò, stordì, narcotizzò i suoi amanti. Ma poi arrivò lui, l'Imaginifico: Venezia fu il loro palcoscenico, le gondole il loro talamo. E allora furono ruvidi amplessi e dionisiache ebbrezze sotto il lucore spossato della luna. D'Annunzio la eternerà in pagine memorabili. La «battaglia d’amore» li sfiniva, li tramortiva, nonostante la cocaina mescolata allo champagne. Già, le droghe. Ne assumeva Corè, eccome: si illanguidiva con l'oppio o beveva assenzio versandolo direttamente dal pomo d'argento del suo bastone da passeggio. Fu lei ad iniziarlo alla cocaina? Forse. Di sicuro lo avviò alle pratiche spiritiche; li si vide spesso tra i ruderi dell'Appia Antica, ad invocare le anime dei grandi Romani. Era una forsennata cultrice di esoterismo e riti magici, a emulazione del suo mito: Cristina Trivulzio, la macabra Principessa di Beljoioso, collezionista di celebri amanti (Chopin, De Musset, Balzac) e di giovani tisici, il corpo di uno dei quali, imbalsamato, conservava in camera da letto. Corè bella e dannata! Dilapidò una fortuna immensa in lussi ed eccessi e finì sul lastrico. Dovette dire addio alle principesche suites dei lussuosi alberghi e alle sue dimore da sogno, che furono tutte vendute o ipotecate: tra le altre, la fastosa residenza di Arcore ora è Villa Berlusconi. Andò a vivere in una stanzetta in affitto a Londra, ma non rinunciò allora al suo look di creatura terrifica, ma l'ombratura attorno agli occhi era fatta con lucido da scarpe. Il 17 dicembre 1932 i suoi beni andarono all'asta. Tre giorni prima Corè aveva inviato un accorato telegramma al Vittoriale, al suo antico amante. Ma il suo Ariel non rispose neppure. E Corè, la Dannata, Divina Corè, precipitò all'Inferno.

 

 

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