CORE', la regina nera dell’Imaginifico
Dotata di sensualità ferina e inappagabile, inebriò, stordì, narcotizzò i suoi amanti. Ma poi arrivò lui, l'Imaginifico: Venezia fu il loro palcoscenico, le gondole il loro talamo. E allora furono ruvidi amplessi e dionisiache ebbrezze sotto il lucore spossato della luna. D'Annunzio la eternerà in pagine memorabili. La «battaglia d’amore» li sfiniva, li tramortiva, nonostante la cocaina mescolata allo champagne. Già, le droghe. Ne assumeva Corè, eccome: si illanguidiva con l'oppio o beveva assenzio versandolo direttamente dal pomo d'argento del suo bastone da passeggio. Fu lei ad iniziarlo alla cocaina? Forse. Di sicuro lo avviò alle pratiche spiritiche; li si vide spesso tra i ruderi dell'Appia Antica, ad invocare le anime dei grandi Romani. Era una forsennata cultrice di esoterismo e riti magici, a emulazione del suo mito: Cristina Trivulzio, la macabra Principessa di Beljoioso, collezionista di celebri amanti (Chopin, De Musset, Balzac) e di giovani tisici, il corpo di uno dei quali, imbalsamato, conservava in camera da letto. Corè bella e dannata! Dilapidò una fortuna immensa in lussi ed eccessi e finì sul lastrico. Dovette dire addio alle principesche suites dei lussuosi alberghi e alle sue dimore da sogno, che furono tutte vendute o ipotecate: tra le altre, la fastosa residenza di Arcore ora è Villa Berlusconi. Andò a vivere in una stanzetta in affitto a Londra, ma non rinunciò allora al suo look di creatura terrifica, ma l'ombratura attorno agli occhi era fatta con lucido da scarpe. Il 17 dicembre 1932 i suoi beni andarono all'asta. Tre giorni prima Corè aveva inviato un accorato telegramma al Vittoriale, al suo antico amante. Ma il suo Ariel non rispose neppure. E Corè, la Dannata, Divina Corè, precipitò all'Inferno.
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