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LE METAMORFOSI POSSIBILI DI UN MONUMENTO STRAORDINARIO


Quando un luogo apre le porte, qualcosa esce, ma nello stesso tempo qualcosa di nuovo entra. Non c’è possibilità che quel posto rimanga vuoto, privo di una sua essenza e di una sua funzione: elementi ben distinti, non sovrapponibili e non alternativi, quanto piuttosto complementari e dialoganti. L’essenza dell’Abbazia Celestiniana, a Sulmona, è il suo essere un monumento di straordinario valore, di per sé, e come tale esige di essere trattato: luogo di incontro, di stupore, di ricerca, di studio, di disponibilità nei confronti dell’altro, con un solo impegno: mostrarsi nella sua forma migliore, superando i limiti imposti dal passare del tempo e dall’inevitabile disgregarsi della materia, al quale porre i rimedi opportuni. La funzione dell’Abbazia Celestiniana non deve scavalcarne l’essenza, ma ad essa affiancarsi per rafforzarla, consentirle di mostrarsi, tentando di arginare quel disgregarsi della materia. La distinzione operata è frutto del riconoscimento di un percorso necessario e ineludibile per permettere, a questo luogo, di aprire realmente le porte. È già accaduto anni fa, quando il carcere, a lungo ospitato negli spazi che furono dei monaci di Celestino V, ha abbandonato le celle, gli ariosi cortili e i grandi ambienti dalle decorazioni offuscate, e ha portato via con sé la funzione, demandando alla sola essenza il compito più arduo: sopravvivere. Da quelle porte aperte, tuttavia, hanno incominciato a infiltrarsi idee, alcune volatili, altre parziali, altre ancora disancorate dalla realtà circostante. Ce n’è una, tuttavia, che conosce bene i luoghi e riesce a percorrerli ad occhi chiusi, a nascondersi tra gli affreschi e sotto le scalinate monumentali, a passare da uno spazio all’altro senza far rumore perché sono noti gli scricchiolii delle porte più restie. È l’idea più congeniale all’essere umano: rigenerarsi nell’opposto, trovando una strada alternativa al proprio percorso, una metamorfosi di poetica memoria che in questi luoghi non è certo

 

peregrina. È uscito da queste porte un carcere, può rientrarvi la metamorfosi del dolore, delle colpe, della violenza e delle sofferenze, nelle mutate forme di una nuova convivenza civile. Uno spazio nel quale elaborare la possibilità di una vita rinnovata, che esca dai meritati e angusti limiti di una pena e trovi un differente svolgersi proprio nel luogo nel quale ha a lungo albergato l’idea peggiore nella vita di un uomo: la perdita della libertà per propria responsabilità, per dispregio dell’altrui libertà. A questo punto la funzione diviene forza dell’essenza: i nuovi custodi degli antichi spazi, dei giardini, della chiesa, degli ambienti monumentali – tutti finalmente aperti al pubblico per mostrare la loro essenza - imparano mestieri utili per varcare le porte ed uscire definitivamente: perché l’Abbazia è il luogo della metamorfosi che impone necessariamente la svolta dalla quale non si torna indietro, se non per ammirare la sinuosa facciata della chiesa di S. Spirito, frutto di suggestioni romane rivissute anch’esse in nuove forme. Se il disgregarsi della materia avanza là dove non è stato ancora possibile tamponarlo, allora un unico progetto – ambizioso, complesso, ma possibile - può conciliare tutte le esigenze: che sia il Ministero della Giustizia a farlo proprio, che questa sia una sfida reale a fronte delle tante parole versate nei momenti di difficoltà del moderno carcere in cemento armato: un’alternativa, una sperimentazione per avviare nuovi percorsi al termine dei periodi di pena. Che sia il Ministero per i Beni e le Attività Culturali a seguire le operazioni e a guidare i primi passi di questa gestione. Che siano gli uomini, con la loro metamorfosi, ad aprire e chiudere le porte perché altre idee rafforzino questa, perché la loro funzione assicuri il perdurare dell’essenza.

 

 

APRIRE L’ABBAZIA DI CELESTINO V. La bellezza architettonica, il valore storico-artistico della costruzione e, soprattutto, la sua maestosità, fanno della Badia Morronese uno dei monumenti più importanti dell’intero Abruzzo, ma anche tra i meno conosciuti. La soppressione dell’ordine dei Celestini e la destinazione a penitenziario, per oltre un secolo, hanno reso la Badia Morronese un luogo inaccessibile e quindi sconosciuto. Ha perso negli ultimi due secoli quel riferimento di religiosità e spiritualità che aveva avuto nei 5 secoli precedenti e che altre Abbazie hanno continuato ad avere in Italia. La Badia Morronese è il simbolo di un movimento religioso che aveva in Sulmona il suo centro grazie all’azione, alla testimonianza e predicazione di colui che, unico nella Storia millenaria della Chiesa, ha rinunciato al soglio pontificio per ritornare tra le sue montagne. Simbolo di una religiosità autentica, ma nello stesso tempo di forza e potere. Per quanto sembri contrastare con la spiritualità ascetica di Fra Pietro da Morrone, l’imponenza dell’Abbazia è lì a testimoniarci un passato di prestigio religioso e di vitalità economica. I lavori di restauro degli ultimi 10 anni ne hanno impedito il degrado ulteriore e recuperato una parte considerevole, tra cui lo splendido refettorio. L’Abbazia ha finalmente riaperto le sue porte nel corso dell’ultimo anno. Non lo ha fatto come ci saremmo aspettati e avremmo voluto. Il terremoto dell’Aquila ha dettato altre priorità e attenzioni e l’inserimento dell’Abbazia tra i monumenti da adottare, sponsorizzare, non ha dato alcun risultato. L’Abbazia ha riaperto per ospitare gli uffici decentrati del Ministero dei Beni culturali e gli Uffici della sede operativa del Parco della Maiella. È un primo passo che ha consentito di riaprire il portone, ma siamo ancora molto lontani dalla funzione di attrattività che la Badia potrebbe svolgere per Sulmona e l’intera Conca Peligna. L’ultimazione dei lavori di restauro

 

della Chiesa e la sua riapertura al pubblico sarà un ulteriore decisivo passo. Ma il resto? Per restituire l’Abbazia al suo completo splendore rimane molto da fare. In questi anni sono state avanzate varie proposte, ma non esistono a tutt’oggi una strategia e un percorso condivisi e concordati per ultimare il recupero. È stato proposto dal Comune, negli anni scorsi, di dedicare una parte della struttura per l’istituzione di un centro per il restauro dei libri; l’ex presidente della giunta regionale Del Turco propose di istituire un Centro europeo di alta formazione per manager della cultura; recentemente è stata avanzata al Ministero di Grazia e Giustiza la proposta di farne una delle sedi della scuola superiore per magistrati che il Ministero stesso dovrà istituire; due anni fa nel corso di un convegno su APE (Appennino Parco d’Europa) avevamo lanciato l’idea di individuare l’Abbazia come sede della Convenzione degli Appennini, considerato che già ospita la sede operativa del Parco Nazionale della Maiella. Le proposte non si esauriscono qui, ce ne sono sicuramente altre, ma se non si mettono insieme tutte le forze e non si definisce una strategia condivisa credo che le varie proposte rimarranno tali. Perché, allora, non cogliere l’occasione della venuta del Papa a Sulmona - che è strettamente legata all’anno giubilare dichiarato in occasione degli 800 anni dalla nascita di San Pietro Celestino - per rilanciare un accordo di programma che possa riunire Ministero dei Beni culturali, Regione, Provincia, enti locali del territorio, la stessa Chiesa e eventuali privati interessati per definire un progetto complessivo di restauro integrale dell’Abbazia? La Regione Abruzzo può avere un ruolo determinante in tutto questo decidendo di mettere sul tavolo di un accordo, con Ministero, Enti Locali e privati, una parte di quei fondi per le aree sottoutilizzate che in fondo a questo dovrebbero servire. In passato abbiamo perso altre occasioni, proviamo a non perdere questa. Facciamo in modo che la visita di un papa a Sulmona, dopo 8 secoli, ci possa consentire di raccogliere al meglio, anche in questo campo, l’eredità di un altro papa che a quel pontificato aveva rinunciato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

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