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Navelli un libro aperto nella storia


Il colore caldo della pietra locale definisce il borgo medievale di Navelli, arroccato sul colle e sovrastato dalla possente struttura rinascimentale di Palazzo Santucci, posto da ormai 500 anni a dominare incontrastato la valle. L’apparente monocromia si illumina con il variare delle stagioni per il bianco della neve, il rosa madreperlaceo del fiore del mandorlo o il rosso acceso dei papaveri, e culmina in novembre nei colori dello zafferano, dedicati a chi voglia vivere l’esperienza di una immersione totale nella natura alle prime luci dell’alba. Così, in uno scenario sempre diverso, il visitatore è invitato ad ascoltare il racconto che le pietre, silenziose testimoni dei secoli, ci offrono. È il racconto rivolto a chi vuole divenire, per alcune ore, testimone e protagonista del dialogo perenne tra passato e presente. Navelli, e la sua frazione – Civitaretenga, sede della Cooperativa dello zafferano -, sono arroccati su due colli contigui, dove vivevano gli antichi Vestini, popolazione italica dedita alla pastorizia, prima dell’intervento di Roma. A partire dal IV sec. A.C. la presenza romana ha spostato la vita a valle, dove oggi si rintracciano i reperti archeologici che chiariscono i rapporti della terra vestina con gli altri popoli appenninici e con i Romani, avversari/alleati per secoli. Per lungo tempo, infatti, la vita è rimasta a valle: ne è una preziosa testimonianza Santa Maria in Cerulis, una splendida struttura romanica costruita sulla base di un tempio pagano. Da sola racconta la storia di almeno due millenni: dalla presenza di Ercole, dio pagano della pastorizia alla linearità, del romanico, dall’intervento tardo barocco al suo interno fino alla sua annessione al piccolo cimitero del paese nel corso dell’Ottocento. Tra le testimonianze più antiche, peraltro, si annovera Sant’Egidio, a Civitarenga: gli affreschi dell’abside sono il risultato di interventi differenti, da epoca paleocristiana fino alla scuola giottesca, con qualche incursione nel

 

 

tardo Quattrocento. Già all’inizio del Medioevo, gli abitanti si sono trasferiti in alto, rinchiudendosi dentro le case-mura, lasciando pochi accessi al borgo: Navelli ha quattro porte, ai quattro punti cardinali, ancora perfettamente visibili: Porta San Pelino, Porta Santa Maria, Porta Castello e Porta Villotta. Contemporaneamente, a valle sono nati importanti luoghi di culto, legati alla preghiera per i pellegrini, come San Rocco, o alla più caratteristica attività di questi luoghi, la transumanza: lungo l’attuale Strada Statale 17, corrispondente al percorso del tratturo, tra Civitarenga e Navelli, si possono osservare chiese di dimensioni diverse, spesso fornite di un porticato: luogo di raccolta e di preghiera per i pastori in cammino verso il sud e il mare. Anche nel paese i luoghi di culto sono numerosi: si va dalle piccole cappelle annesse ai palazzi nobiliari alla Chiesa del Suffragio, un impasto di strutture romaniche e barocche utilizzato come luogo di culto dalle famiglie in vista del paese e da queste ultime messo a disposizione della popolazione in occasione della terribile peste che imperversò in questi luoghi alla metà del Seicento o, ancora, all’imponente struttura romanica del Convento di Sant’Antonio con il suo prezioso chiostro, ai margini di Civitarenga La stratificazione architettonica è la cifra essenziale del paese. La si può riconoscere, tra l’altro: - nella Chiesa parrocchiale, intitolata a San Sebastiano, nata lungo la cinta muraria (le case-mura) e sulle rocce, che racchiude notevoli opere d’arte: ad esempio, gli altari delle navate laterali in pietra locale e le pale d’altare che confermano la presenza in zona di artisti dell’area centro meridionale, attivi tra Cinque e Seicento. - nei palazzi delle famiglie nobili. In almeno un caso si può seguire la storia di una famiglia tramite lo spostamento delle sue residenze dall’alto verso valle e l’adeguamento della veste architettonica: il palazzo nel cuore del borgo, quello

 

 

associato alle mura e, infine, la villa con parco di epoca tardo settecentesca. - nel Palazzo tardo rinascimentale che ha sostituito, grazie alla prosperità portata dallo zafferano, il castello di cui rimangono solo poche tracce e il ricordo nella toponomastica. Il borgo nel suo complesso ha subito, come tanti paesi dell’area appenninica, i danni dello spopolamento. La violenta ondata di emigrazione che ha investito tutta l’area a partire dagli ultimi decenni del 1800 e che ha visto il suo apice nel secondo dopoguerra ha spopolato il borgo medievale che, oggi, è rimasto “immobile”, come un museo a cielo aperto. Immergersi nelle sue viuzze, tra scale intagliate nella pietra, porte che si aprono ad altezze diverse, minuscole finestre affacciate sugli archi, cantine a volta accanto a grotte scavate nella roccia, pietre sporgenti sulle pareti dei fienili, a mo’ di scala, significa riscoprire i frammenti di un mondo antico, quando la popolazione lavorava tutto il giorno nei campi e a sera si rinchiudeva nel borgo, a stretto contatto con gli animali. Il visitatore si trova catapultato in una dimensione del tutto particolare, dominata dal silenzio, a scoprire angoli straordinariamente autentici, come “le pilucce”, una serie di “contenitori” scavati nella pietra a fianco di una porta e usati per dare ristoro agli animali al ritorno dal lavoro. In alcuni punti potrà guardare a valle e sorprendersi a pensare che il traffico lungo la statale è qualcosa di distante, secoli e secoli dopo il medioevo in cui si trova immerso. Molti altri edifici, soprattutto quelli religiosi, sono in attesa di un intervento  che ne permetta di nuovo la visita. Oggi tutto il paese vuole vivere la sua realtà di museo a cielo aperto, anche per superare le ferite del terremoto dell’aprile scorso che ha colpito soprattutto gli edifici religiosi e il borgo medievale di Civitarenga, con una rinnovata attenzione per la salvaguardia del patrimonio storico – artistico. Un momento importante, in tal senso, è stato, nel marzo del 2009,

 

 

solo una settimana prima del sisma, la realizzazione della XVII edizione della Giornata FAI di Primavera in collaborazione con il Fondo Ambiente Italiano che aveva scelto Navelli grazie all’interesse suscitato dalle opere contenute in alcuni edifici religiosi (San Rocco, San Sebastiano e Sant’Egidio, in particolare). In attesa che gli edifici religiosi danneggiati dalla furia del sisma ricevano gli interventi che ne permettano nuovamente la visita, la popolazione si è impegnata a valorizzare in ogni modo il patrimonio costituito dall’incredibile stratificazione di vicende testimoniata dalle sue pietre: dalle più antiche tracce della popolazione originaria – i Vestini, popolazione sabellica in bilico tra Roma e Sannio, da cui spiravano ventate di orgogliosa autonomia – alle scritte ‘politiche’ ancora visibili, qua e là, sui muri (in particolare, relative al referendum Monarchia/Repubblica del 2 giugno 1946) o ancora a quelle che indicavano il luogo dove si fermava, fino all’inizio degli anni ottanta del secolo scorso, il banditore, per gli annunci ufficiali o per comunicare l’arrivo di un ambulante. Per questo, la Sagra dei ceci e dello zafferano e le altre manifestazioni organizzate nel corso dell’anno, vogliono essere momenti di richiamo per un turismo che punti alla scoperta di luoghi ricchi di identità e di storia, in cui recuperare la capacità di decodificare quello che la storia racconta, riflettere su quello che la modernità sottrae, riconquistare il legame con uno spazio concreto e con una dimensione individuale del tempo. L’impegno del paese è quello di accogliere il visitatore nella certezza che Navelli e Civitaretenga non saranno più per lui gruppi di case arroccate su altrettanti colli abruzzesi ma luoghi della memoria, collettiva e individuale.

 

 

La sagra dei ceci e dello zafferano

Ogni agosto, da trentaquattro anni, la vita di Navelli si anima: una buona parte del paese uomini, donne, giovani, emigrati tornati espressamente - si attivano insieme alla Pro Loco per dare vita alla Sagra dei ceci e dello zafferano. Con il lavoro volontario di tutti si realizzano due giorni di ristorazione con le specialità a base di due prodotti per eccellenza dell’altopiano, i ceci e lo zafferano, e il profumo del timo selvatico: risotto allo zafferano, penne allo zafferano, sagne e ceci, gnocchetti e ceci, supplì, ricotta allo zafferano, ecc. Di anno in anno migliaia di persone sono attratte anche dal Palio degli asini che, nato come imitazione burlesca del Palio di Siena e arrivato alla sua trentesima edizione, viene realizzato ogni anno dai giovani del paese. Da alcuni anni, inoltre, una Mostra mercato di Arte, artigianato e gastronomia realizzata nelle zone adiacenti allo spazio della sagra invita a proseguire la visita alla scoperta del borgo medievale. Convinti della necessità di una presenza sul territorio anche in altri periodi dell’anno, nel 2009 i soci si sono attivati per dar vita a Natale a Palazzo – con spettacoli, gastronomia e mostra mercato. Il successo ha dato a tutti la voglia di proseguire.

 

 

Le vie dello zafferano

Tra fine ‘400 e inizio ‘500 il bulbo del crocus sativus è giunto a Navelli. Come ciò sia avvenuto si perde nella leggenda ma con certezza si è acclimatato ottimamente sulle terre dell’altopiano dove la sua coltivazione ha garantito per secoli lavoro ai contadini e agiatezza ai proprietari. Lo zafferano, la preziosa spezia che se ne ricava, era ricercata e apprezzata sulle tavole rinascimentali in tutta Europa. Così le famiglie in vista hanno avviato un prospero commercio verso il Nord investendo parte dei proventi per richiamare in paese artisti e architetti. Lo testimoniano residenze private ed edifici religiosi disseminati nel paese che, in alcuni casi, contengono veri gioielli, non ancora studiati come meriterebbero: tra questi gli affreschi di Sant’Egidio a Civitarenga, l’affresco con Madonna in trono nella Chiesetta di San Rocco e una pala nella Chiesa di San Sebastiano, in cui si riconosce la figura di San Carlo Borromeo. Quest’ultima immagine conferma sia i contatti intercorsi tra Navelli e l’area lombarda sia l’antica origine navellese del famoso risotto alla milanese, il cui ingrediente principale è senza dubbio lo zafferano DOP dell’Aquila, coltivato sull’altopiano di Navell

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

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