a Chieti 2011
Si rinnova a
Chieti l’antica e solenne processione del Venerdì Santo, una
delle più significative espressioni religiose italiane
risalente al secolo XVI contestualmente alla fondazione
dell’Arciconfraternita del Sacro Monte dei Morti. In base ai
primi documenti che parlano di questa processione, che
avveniva originariamente di mattina, i simboli erano tre: il
Cristo morto, lo stendardo in damasco nero, il catafalco sul
quale era posta la statua del Cristo. Il percorso di oggi è
rimasto più o meno identico a quello del 1650, con partenza
dalla cattedrale di San Giustino. I tre simboli erano
accompagnati dagli iscritti al Sacro Monte dei Morti con i
rituali cappucci e le vesti di iuta. In base ai documenti i
musicisti appaiono nel 1722 e nel 1735 al comando del coro
arriva Selecchy l’autore del Miserere. Gli altri simboli
vengono inseriti negli anni successivi: nel 1833 ci fu
l’inserimento della statua della Madonna (la stessa che si
conserva oggi nella cattedrale appartenuta anticamente alla
congrega dei muratori) e nel 1855 a Raffaele Del Ponte fu
affidata la realizzazione di altri
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Scalinata San Giustino -
Il
Gallo
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7 simboli. La
confraternita teatina sorse come aggregato della omonima
confraternita dell’Orazione e Morte di Roma il cui scopo era quello
di seppellire i cadaveri disseminati nella campagna romana. Il
flagello delle guerre combattute nel Cinquecento fra la Francia e la
Spagna aveva infatti reso le zone, teatro di combattimenti, degli
enormi cimiteri, con il pericolo di gravi epidemie proprio a causa
della mancata sepoltura dei cadaveri. La fondazione della
confraternita teatina si deve al Capitano Pietro Gigante intorno al
1600. Militare facoltoso e molto religioso destinò buona parte dei
suoi averi alla confraternita. Dal testamento, datato 1656, risulta
inoltre che comandò che il suo corpo venisse seppellito in
cattedrale e precisamente sotto lo sgabello dell’oratorio del Monte
dei morti. Senza dubbio lasciò buona parte dei suoi beni sia ai due
figli legittimi chea una terza figlia illegittima. Le attività dei
primi anni furono molto intense sia per la frequenza delle opere
caritatevoli, sia per lo zelo con il quale si applicavano i
confratelli, soprattutto i nobili più in vista della città.
Raggiunse un’importanza talmente alta che nel 1648 il Papa Innocenzo
X emanò una "bolla" con la quale concesse privilegi e indulgenze
alla confraternita. Dirige la Confraternita il Governatore eletto a
scrutinio segreto dalla Congregazione Generale. Requisiti: deve aver
compiuto il 50° anno d’età, essere residente a Chieti, appartenere
alla Congregazione come fratello di governo da almeno 10 anni.
Infine dura due anni in carica e può essere eletto un numero
illimitato di volte. L’arciconfraternita si compone di fratelli di
governo che sono tutti gli iscritti aventi raggiunto il 25° anno di
età, che appartengano a condizioni sociali distinte e che devono
avere una buona condotta religiosa, morale e civica. Il loro compito
è quello di segnalare i casi di povertà, aiutare i disoccupati e
regolare l’assunzione dei lavoratori. Oltre ai fratelli ci sono le
sorelle di devozione, ovvero figlie, sorelle e mogli dei fratelli di
governo, ammesse al compimento della maggiore età. Il loro compito è
la conservazione e la riparazione degli arredi sacri. Tra esse il
governatore sceglie la priora che ha il compito di mantenere i
rapporti con la confraternita. Fanno sempre parte della
confraternita gli aggregati, l’arcivescovo che è il protettore
dell’arciconfraternita, il cappellano eletto dall’arcivescovo e che
rappresenta l’Ordine diocesano all’interno della congregazione. Gli
abiti sono di proprietà della congrega ma ogni fratello paga l’abito
e ne conserva l’uso personale. (Camice nero con cappuccio, cordone
di crine nero, mozzetta d’oro, sul lato sinistro c’è lo stemma della
confraternita). I due simboli maggiori della processione sono le
statue del Cristo e della Madonna, che chiudono il lungo corteo,
coinvolgendo emotivamente e in maniera non indifferente il folto
popolo di fedeli. In tempi lontani l’unico simbolo portato in
processione era la croce; la statua del Cristo e quella della
Madonna comparvero rispettivamente nel XVII° e nel XIX° secolo.
L’effigie del Cristo morto, risalente al ‘600, è posta su uno
scenografico catafalco, coperto da un pesante tappeto di velluto
nero, riccamente ricamato con i simboli dell’Arciconfraternita,
della Passione e trapuntato di stelle dorate. La statua è una
pregevole scultura lignea di stile barocco. Il Cristo è coperto da
un velo candido, trapunto d’oro, impossibile dinstinguerne le
fattezze quasi a voler rendere ancora più astratto il concetto della
morte di Dio e nello stesso tempo umanizzarla. E’ l’immagine di un
uomo che è morto, nella quale ogni fedele può riveder un proprio
caro defunto. Fortissimo il legame col “Cristo velato”: una famosa
statua di Giuseppe San Martino del 1753, che è possibile ammirare
nella Cappella di San Severo di Sangro a Napoli. Dietro la dolente
immagine del Cristo avanza l’Addolorata, chiusa in cupo dolore,
interamente vestita a lutto, con leggero velo orlato d’oro, che
viene continuamente scosso dal vento come il fogliame di un albero
colpito dalla tempesta. La statua è ravvivata soltanto dalla
preziosa base di legno dorato e dalla macchia bianca del fazzoletto
che pende dalle mani della Vergine. Come il Figlio, dunque, Maria
appare completamente incapsulata dal velo nero, dal quale fuoriesce
solo una mano. La statua della Madonna ha cominciato ad apparire
solo nel 1833. Questo fatto è da ricollegarsi probabilmente alla
tradizione della processione che in un primo momento non prevedeva
l’accesso alle donne, retaggio, tra l’altro presente parzialmente
ancora oggi. Sono poche le donne che prendono parte alla solenne.
Tornando alla statua, essa apparteneva alla Confraternita dei
Muratori e veniva custodita dai marchesi Martinetti-Bianchi. Dal
secondo dopoguerra è stata conservata nella cappella del Sacro Monte
e la sua vestizione è considerata un privilegio dalle dame
consorelle. Naturalmente è impossibile parlare della processione
senza parlare del Miserere. Composto nel 1767 da Saverio Selecchy,
musicista sacro teatino, il Miserere rappresenta sicuramente
l’elemento più suggestivo dell’intera processione. E’ il 51° salmo
biblico, tradizionalmente attribuito a Davide; è stato musicato
verso la metà del 700 per essere rappresentato durante la
Processione del Venerdì Santo e lasciato in eredità
all’arciconfraternita del Sacro Monte dei Morti di Chieti, la quale
ha poi acquisito i diritti di proprietà dell’opera e non ne ha mai
concesso l’esecuzione ad altri richiedenti. Il Miserere di Selecchy
è famoso per aver conferito quel tono struggente misto al pathos
solenne che caratterizzano il Venerdì Santo teatino. Consta di una
composizione a tre voci pari per un coro maschile, che si ripete in
tutti i versi del Salmo. La sua esecuzione è affidata a un coro di
circa 150 cantori tra tenori, baritoni, bassi e ad un’orchestra di
archi con 100 violini. Il direttore musicale è attualmente il
maestro Peppino Pezzullo. Queste note sono talmente penetrate
nell’animo degli abruzzesi, e a Chieti, in particolare, che ogni
anno la Processione del Cristo Morto con il coro e l’orchestra sfila
come questa sera sotto lo sguardo attento e commosso della folla in
assoluto silenzio. Il Miserere rappresenta il canto del dolore,
della richiesta di misericordia a Dio dell’uomo fragile. La più
commovente delle suppliche composta da Davide in esilio. Nel salmo
si implora la remissione del peccato, si confessa la propria colpa e
si impetra la grazia rinnovatrice per mezzo della purificazione. Nei
tempi passati veniva recitato da tutti i fedeli secondo una cadenza
spontanea e popolare. Essa è la nobilitazione di quell’effusione
naturale, le laude, caratteristica dell’Italia centrale medievale,
di cui il massimo esponente resta Jacopone da Todi. Le sue note
preannunciano da lontano il sacro evento e a mano a mano che il
corteo avanza per i suggestivi vicoli della città vecchia, il
potente canto dei coristi, sostenuti da centinaia di musicisti
diretti dal Maestro Pezzullo, fa fremere ogni cuore, trasformando
ogni anno gli spettatori passivi in attori protagonisti del dramma.
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