Nel
territorio di Fossacesia, in provincia di Chieti, si ubica
la magnifica e maestosa abbazia di San Giovanni in Venere.
Essa si trova sulla sommità di una verdeggiante altura,
ricoperta da piante di ulivo come quella millenaria, posta
ai piedi dell’abbazia, per ricordarne la fondazione;
costruita in posizione predominante e solitaria, a circa un
paio di chilometri dal centro abitato, a picco sul quel
braccio di mare conosciuto come “Golfo di Venere”, nelle
vicinanze della foce del fiume Sangro, essa si specchia
sulle morbide e trasparenti acque del mare Adriatico.
Secondo la tradizione, supportata anche da ritrovamenti
archeologici, tale luogo sacro sorge sui ruderi di un
preesistente tempio pagano dedicato Venere Conciliatrice,
culto risalente IV secolo a.C., fatto rimarcato anche nel
toponimo Portus Veneris, che indicava un porto posto alla
foce del fiume Sangro durante la dominazione bizantina,
vicino ad un nucleo abitato chiamato Vico Veneriis lungo la
via Traiana.
Dopo la fine del
paganesimo questo luogo fu abitato da eremiti e santi uomini.
Secondo un antica leggenda pare che alcuni monaci greco-ortodossi,
durante la guerra iconoclastica nel VII secolo, molti monaci
greco-ortodossi emigrarono in maniera massiccia ed arrivarono sulle
coste di Fossacesia tra vi erano anche i monaci basiliani, i quali
presero possesso di ciò che restava dell’antico tempio di Venere,
facendolo diventare un luogo di culto cristiano dedicato alla
Madonna. Un’altra leggenda sostiene che il primo nucleo di questo
luogo di culto fosse costituito da piccolo ricovero per frati
benedettini, provvisto di una cappella, fatto innalzare da frate
Martino intorno 540 dopo aver fatto abbattere il tempio di Venere,
che versava in avanzato stato di abbandono per costruirvi una
piccola cappella intitolata a San Giovaanni e la Vergine Maria. Nel
973 il conte di Teate, Trasmondo I, dispose che il monastero
ricevesse delle cospicue rendite tali da trasformarlo, così, da un
piccolo ricovero in un potente ed opulento monastero.
Anche se questo
illuminato conte fece in modo che da una semplice e povera “cella”,
essa si trasformasse in un monastero, la sua fondazione e come la
sua opulenza vanno attribuiti al conte teatino Trasmondo II che agli
inizi dell’anno Mille, dopo sostanziose prebende, rese possibile la
formazione di un solida struttura religiosa, economica, autonoma
governata da abati. Come segno di gratitudine nei confronti del
conte i monaci, alla sua morte, sopravvenuta nel 1025, lo
seppellirono nella cripta dove tuttora riposa. Se risulta un pochino
complicato possedere dati certi sulla sua fondazione e sulla sue
prime fasi della sua esistenza, vi sono precisi riferimenti storici
relativi alle sue fasi costruttive che vanno dal 973 fino al 1204
circa, dove raggiunse il suo culmine con l’abate Oderisi II il
Grande.
I secoli
tra il X e l’XI furono molto importanti per la crescita religiosa,
culturale ed economica dell’abbazia la quale divenne in breve tempo
uno dei più fiorenti luoghi di culto centro-meridionali annoverando
tra i suoi possedimenti oltre duecento feudi sparsi in diverse zone
d’Italia e fuori dal nostro territorio nazionale come ad esempio in
Dalmazia
.
Nel periodo in
cui essa stava consolidando il suo potere e la sua fama, nella
seconda metà dell’anno Mille circa, il terzo abate Monastico,
Oderisio I, appartenete alla famiglia degli Pagliara, ramo
secondario dei Conti dei Marsi, i quali a loro volta rappresentavano
un ramo cadetto della più gloriosa e prestigiosa famiglia dei Di
Sangro a cui appartenevano anche Bernardo di Chiaravalle, Santa
Rosalia e Raimondo Di Sangro, aveva già fatto allestire una fiorente
e ricca biblioteca, una ottima scuola retta dai confratelli;
fortificò, attraverso fossati, torri e mura la chiesa, costruì
ospedali ed officine, ma soprattutto, fondò la cittadina di Rocca
San Giovanni, che divenne, in breve tempo il più fiorente ed
opulento possedimento della badia ed oggi nella chiesa madre di
Rocca San Giovanni vi sono molte reliquie e volumi che facevano
parte del ricco tesoro dell’abbazia di San Giovanni in Venere.
Sempre della stessa famiglia dei di Sangro Oderisio II “il Grande”,
portò enorme lustro all’abbazia attraverso mezzo secolo circa di
conduzione del luogo sacro, incrementando le opere degli abati
precedenti ed iniziando i lavori di ampliamento conferendogli la
struttura architettonica attuale e per tali meriti sono ricordati in
un epigrafe posta sulla facciata principale della badia.
Durante
il dominio normanno, essa fu coinvolta in giochi politici poco
chiari che la portarono, suo malgrado, a subire diversi saccheggi.
Da qui inizia un periodo di inesorabile e lenta decadenza fatta
anche di devastazioni e violenze come quella perpetrata dai
Veneziani nella prima metà del 1200, poi da parte degli avventurieri
di Ugone Orsini, quindi fu la volta dei di Carrara; i corsari di
Pialy Pascià, che rasero al suolo Santo Stefano Riva Maris ed altri
luoghi sacri si accanirono anche contro San Giovanni in Venere, come
non fu risparmiata neanche da un orda di briganti che nel 1600
infestavano quei luoghi
Anche Madre
Natura volle lasciare tangibili segni del suo passaggio attraverso
un terribile sisma che 1456 provocò gravi danni all’abbazia già
provata da un periodo non molto florido, cosa che si ripete nel 1627
con un altro terremoto che squassò l’Italia centro-meridionale; ed
infine la piccola nobiltà locale fece razzia dei suoi beni. In piena
decadenza, intorno alla fine del 1500, passò nelle mani della
confraternita di San Filippo Neri. Allo stato di ulteriore
deterioramento, verso la fine del ‘700, passo nelle mani del regio
demanio. Distrutta ulteriormente durante la Seconda Guerra Mondiale
fu ristrutturata dalle amorevoli cure dei Padri Passionisti attuali
custodi di questo immenso bene. Questa badia ha visto passare re e
papi come Pietro da Morrone, futuro Celestino V che, secondo alcune
fonti, prese i voti in questo luogo, per poi tornarvi, al fine di
cercare proventi durante la costruzione della chiesa di Santa Maria
di Collemaggio. Durante il periodo del suo soggiorno a Fossacesia,
nominò cardinale il suo vice Tommaso di Ocre, che nel giro di poco
tempo, divenne, per volere del successore di Celestino V, Bonifacio
VIII, il primo abate Commentario della badia di San Giovanni in
Venere ed ebbe il compito di occuparsi delle esequie del Papa
Celestino V. Alcune fonti sostengono che all’apice del suo splendore
e durante l’era del abate Oderiso II il grande, essa fu in grado di
finanziare addirittura la quarta Crociata, voluta da Papa Innocenzo
III nel 1198, secondo tali fonti, questi uomini, dimenticando
l’abito che indossavano e la loro missione, si abbandonarono ai più
efferati atti di violenza, come si può leggere in una invettiva
scritta da un monaco della chiesa di Santo Steafano Riva Maris, che
racconta di come le milizie di Enrico di Svevia accampati tra le
foci del Sangro e quelle del Trigno, si diedero ai peggiori
saccheggi, brutalità e violenze, risparmiando, però, l’abbazia di
San Giovanni in Venere.
@nonnenio